Ancora sulla fatwa dell’assessore

Questo articolo è una risposta a “WiFi pubblico: una proposta inopportuna” del dott. Agostino di Ciaula ed è stato originariamente pubblicato sul sito web della rivista SudCritica il 06 Maggio 2013. Il post precedente a cui si fa riferimento è consultabile qui.

Dato che il dott. Di Ciaula si diverte tagliando i miei ragionamenti a metà (“Il Sig. Mario Zagaria, autore dell’articolo di commento alla mia posizione, esordisce con l’affermazione “Le onde elettromagnetiche fanno male: è vero”. Tuttavia, segue invitando a non mettere in atto “sterili allarmismi”, perché “l’elettromagnetismo è fondamentale per la società e quindi ineliminabile“”), credo che una risposta sia d’obbligo.  Chiunque abbia letto il mio articolo sa bene che non ho giustificato un possibile danno alla salute con la sola necessità di non ritornare al medioevo, ma con una rigida sequenza di argomentazioni da cui il dottore si è ben tenuto alla larga. Innanzitutto una precisazione riguardo alla seguente affermazione del dott. Di Ciaula:

L’Autore, il Sig. Zagaria, afferma che “E’ quindi una pura leggenda metropolitana e pura disinformazione che il wireless inteso non come Umts/Gsm sia inquinante, anzi Wi-Fi, Hiperlan e WiMax devono essere il futuro delle tecnologie wireless”.

Ci tengo a riaffermare che queste parole non sono mie, ma, come avevo chiaramente indicato, tratte dal report del Centro Nazionale Ricerche che ho linkato (http://www.sra.mlib.cnr.it/?page_id=126).

In tutti gli studi citati dal dott. Di Ciaula si fa riferimento alle radiazioni elettromagnetiche in generale, le quali, come precisato correttamente dall’ex assessore, comprendono anche il wifi. In nessuno degli studi si punta l’indice esclusivamente contro queste tecnologie. E questo perché, come ho già spiegato ampiamente, esse lavorano ad energie molto più basse rispetto ai tradizionali cellulari, televisori, cordless, forni a microonde, sistemi per la gestione del traffico aereo. Come riportavo nell’articolo precedente, un’antenna Hiperlan o WiMax sul tetto di casa equivale ad avere mezzo cellulare sul proprio tetto. Ad essere ancora più precisi, possiamo dire che avere un’antenna Hiperlan o WiMax sul tetto equivale ad avere “un decimillesimo” di cellulare in tasca e lo stesso paragone si applica al ripetitore. Aggiungevo nel mio articolo anche la necessità di paragonare quindi il grado di pericolosità del wifi con quello del già esistente inquinamento elettromagnetico, di magnitudo infinitamente superiore, dovuto agli altri servizi e suggerivo all’ex assessore alcuni quesiti, che ripropongo dato che sono rimasti inevasi:

  • cosa ha fatto lui durante il suo impegno come assessore per limitare l’inquinamento dovuto a tralicci dell’alta tensione, il proliferare di antenne e ripetitori ad alto potenziale che sono dalle 1000 alle 10.000 volte più pericolosi del wifi?
  • con il rischio di annoiare citandomi da solo, nel mio articolo scrivevo che sarebbe stato necessario “contestualizzare questa tecnologia nell’ambito di ciò a cui non rinunceremmo mai” e l’esempio portato a questo scopo era il cellulare.

Caro dott. Di Ciaula, quindi, seguendo il filo del suo discorso:

  1. il wifi fa male, soprattutto ai bambini
  2. il wifi va bandito dai luoghi pubblici e i suoi ripetitori non vanno posti sugli edifici
  3. il cellulare fa di gran lunga più male ed è parte degli stessi studi che lei cita
  4. il problema del cellulare non esiste (dato che lei tace sull’argomento) e le mega antenne sono benvenute sul nostro territorio, anche in cima ai palazzi dei privati (così come avviene tutt’oggi e come lui stesso ha rilevato).

Riporto ancora integralmente:

Chiunque può fare al chiuso delle proprie abitazioni quello che vuole, ma in considerazione di autorevoli evidenze scientifiche internazionali nessuno dovrebbe sentirsi autorizzato ad imporre una possibile violazione del diritto alla salute in spazi pubblici.

L’importante è, secondo l’assessore, salvaguardare i luoghi pubblici, soprattutto le scuole. Tralasciando l’ovvietà che nessuna onda elettromagnetica è confinabile alle mura domestiche, non sarebbe meglio che una amministrazione degna di questo nome, piuttosto che avallare lo stato dell’inquinamento già esistente, si prendesse carico di indicare una direzione, di migliorare lo stato delle cose, di spingere verso l’abbandono di una tecnologia (quella dei cellulari usati per la navigazione su internet) che ingrassa le compagnie telefoniche con guadagni fuori scala e produce da 3 a 10 volte più danni di quelli che lei, piegando il significato degli studi che cita, additerebbe al solo wifi? Quanti dei suoi pazienti stanno leggendo questo articolo usando una “pennina” di un operatore telefonico? Magari persino lei.

E ancora, continuando nel solco tracciato dall’assessore: gli studi che egli stesso cita propendono per bandire i cellulari dalle scuole, prima ancora del wireless. Perché non cominciare da li? In fondo sono molto più pericolosi del wifi. E i potentissimi ripetitori? Forse le loro radiazioni non raggiungono gli asili? E perché fermarsi alle scuole? Chi frequenta i luoghi pubblici non ha forse gli stessi diritti? Penso ai parchi, agli uffici del comune, agli studi medici… Tutti col cellulare spento. Il buonsenso vorrebbe che si partisse dell’eliminazione delle sorgenti più importanti di inquinamento elettromagnetico – ovvero il cellulare e i ripetitori che producono le soglie già inaccettabili che lei stesso ricorda. O sarebbe preferibile, secondo lei, far finta di non vedere la trave mentre ci si batte strenuamente contro la pagliuzza?

La mia sensazione è che sia più facile sparare sull’“uso di computer wireless e di altri dispositivi wireless” che “dovrebbe essere fortemente scoraggiato nelle scuole che ospitano bambini di ogni età” facendo finta di non vedere che quegli stessi scolari, così come la loro insegnante, hanno tutti il cellulare; piuttosto che aiutarli per davvero risanando il territorio dagli abusi che sono stati compiuti in spregio alla salute pubblica.

Passiamo alle evidenze scientifiche: su ciò che riporta l’IARC e che il dott. Di Ciaula cita di nuovo senza nulla aggiungere, mi sono già espresso. Negli stessi risultati riportati al termine del report, il panel di esperti ha ritenuto che è “inconsistente” l’evidenza relativa all’esposizione ambientale e professionale. Come a dire: non importa quanto usi il telefono o il portatile. Il che collide con la definizione del gruppo 2B (le circostanze di esposizione all’agente danno luogo a esposizioni che forse sono cancerogene per l’uomo).

Altri ricercatori, come Robert Park del dipartimento di fisica dell’Università del Maryland, contestano i risultati dello studio:

 “Il cancro è causato da mutazioni dei filamenti di DNA. Le radiazioni elettromagnetiche non possono causare la mutazione dei filamenti di DNA a meno che la frequenza non sia pari o superiore alla parte blu dello spettro visibile o nell’ultravioletto. La frequenza dei cellulari è circa 1 milione di volte più bassa“. (http://bobpark.physics.umd.edu/WN11/wn052011.html)

Sugli studi del BioInitiative Report, mi limito a riportare questo stralcio:

“This study covers EMF from powerlines, electrical wiring, appliances and hand-held devices; and from wireless technologies (cell and cordless phones, cell towers, ‘smart meters’, WI-FI, wireless laptops, wireless routers, baby monitors, and other electronic devices).”

Ancora una volta, antenne, tralicci, ripetitori di cella, cordless e poi wifi. Il buonsenso, come ho già detto, vorrebbe che si parta da quelli più pericolosi, ovvero quelli a più alta energia.

Tutte le leggi e le iniziative irresponsabilmente “spazzate via” citate dal dott. Di Ciaula (il DM 381/98, la “legge-quadro” 36/01, il DPCM 08.07.03, la proposta dell’on. Gramazio) condividono, tutte, un particolare: sono tutte antecedenti al riconoscimento come standard del wifi 802.11 in Europa (2004) ed erano dunque tese a regolare il far west di antenne e ripetitori ad alta potenza nel territorio italiano. Mi spiace, ma torniamo sempre li: il problema sono i cellulari e le televisioni, non il wifi.

Per quanto riguarda invece l’adeguamento delle soglie di legge, al momento – dice l’assessore – “incompatibili con la tutela della salute umana”, è utile leggere il parere del professor Giovani Carboni, docente di Fisica dell’Università di Tor Vergata:

La normativa italiana in tema di CEM è fra le più restrittive del mondo. In Europa sono generalmente adottate le linee guida dell’ICNIRP (Comitato Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti). L’Italia per i campi a Radio Frequenza (RF; per intenderci radio, TV e telefonia cellulare) ha un limite che è circa 7 volte inferiore in termini di campo elettrico (6 V/m invece di 41). Questo limite è stato fissato con il decreto attuativo (DPCM 8-7-2003) della legge quadro n. 36 del 22-2-2001. Ma siccome quel che fisicamente conta è l’intensità e non il campo e l’intensità va col quadrato del campo il limite italiano è in realtà 50 volte inferiore a quello in uso negli altri paesi europei.

[http://people.roma2.infn.it/~carboni/campi-EM/spqr.html]

Rispetto ai danni alla salute dovuti all’elettrosmog, invece, il professor Carboni dice:

Non si è trovata una relazione dose-effetto, ossia un aumento dei casi di malattia con l’aumentare dell’esposizione al campo (la “dose”). La mancanza di una relazione dose-effetto rende tutta la teoria dell’elettrosmog poco plausibile. Inoltre, in assenza di tale relazione non ha senso imporre dei limiti di esposizione.

Gli studi del Consiglio d’Europa (organizzazione internazionale da non confondere con le istituzioni dell’Unione europea Consiglio dell’Unione europea e il Consiglio europeo) sono riassunti in un rapporto in cui si legge testualmente che “permangono incertezze a livello scientifico”. Fra gli esperti che hanno condotto la ricerca, tuttavia, ve ne sono almeno un paio fortemente criticati dagli osservatori perché abituati ad evitare costantemente il peer-reviewing dei dati. Fra questi il professor Dominique Belpomme, autore di uno studio su un gruppo di persone ritenute affette da elettrosensibilità, malattia riconosciuta come tale esclusivamente in Svezia. Studi autorevoli hanno dimostrato come la “malattia” dell’elettrosensibilità (citata anche dal dott. Di Ciaula nel suo primo intervento) non esiste (http://www.ehponline.org/members/2007/10286/10286.pdf) e che la stragrande maggioranza di chi ritiene di esserne affetto manifesta invece disturbi psicosomatici e non sia in grado neppure di “percepire” se un dato apparecchio sia acceso o spento.

Le regolamentazioni di “alcune municipalità europee” delle quali si parla nell’intervento del dott.Di Ciaula sono dunque semplicemente “raccomandazioni” di un comitato di cittadini, che “non hanno alcun valore legale” ne scientifico e sono “basate sull’assunto che, anche se non vi sono prove sull’influenza delle onde emesse da cellulari e WiFi sulla salute, il rischio zero non esiste” (http://feediz.01net.com/item-212003-1703587245.html, http://punto-informatico.it/2651511/PI/Brevi/parigi-razionate-wifi.aspx).

Nel frattempo a Londra, il cuore economico-finanziario della capitale è stata realizzata la più estesa area europea integralmente coperta da un ombrello WiFi che, a fronte di un canone di 11 sterline al mese, potrà offrire connettività ad un bacino di utenza formato da 350mila persone (http://news.bbc.co.uk/2/hi/technology/6577307.stm).

La Health Protection Agency (HPA) inglese ha eseguito uno studio sul campo per verificare i danni alla salute delle sole WiFi e WLAN. I test sono stati svolti in scuole, uffici, abitazioni per considerare ogni variabile, dal tipo apparecchio utilizzato all’uso che se ne fa. Riporta Punto Informatico:

Pat Troop, direttore di HPA, pur esprimendo prudenza sui dati raccolti e facendo riferimento a misurazioni poco significative, confida in risultati rassicuranti: “Non ci sono prove scientifiche del fatto che le reti WiFi e le WLAN minaccino la salute della popolazione. I segnali sono poco potenti, nell’ordine dei 100 milliwatt sia per quanto riguarda il computer sia per quanto riguarda il router”. Risultati che, spiega Troop, sembrano non porre problemi di compatibilità con le linee guida stilate dalla International Commission on Non-Ionizing Radiation (ICNIRP).” [http://www.guardian.co.uk/technology/2007/oct/13/internet.internetphonesbroadband]

Un altro esperto che si esprime contro il wifi, sempre dell’Agenzia britannica per la tutela della Salute pubblica, ha dichiarato al Times: “Star seduto per un anno in una classe vicino ad un network wireless equivale a 20 minuti passati al telefono cellulare. Se il WiFi deve essere cancellato dalle scuole, allora la rete di telefonia mobile dovrebbe essere chiusa, così come la radio FM o la televisione, poiché la potenza dei loro segnali è simile a quella del WiFi in classe“. (http://punto-informatico.it/1809777/Telefonia/News/wifi-non-fa-male-punto.aspx)

Concludendo: se l’ex assessore vuol dibattere a suon di studi quanto facciano male le radiazioni elettromagnetiche ad alta potenza, come quelle emesse dai ripetitori sparsi per il territorio del comune e come gli studi da lui citati riportano, è il benvenuto e di certo non sarò io a dargli torto. Quel che invece è sicuro è che non gli permetterò di continuare a diffondere paura su una tecnologia (il WiFi) che non sarà perfetta, ma è di certo più salutare di quella che lui ha avvallato durante la sua carica, non muovendo un dito contro l’inquinamento elettromagnetico “in alcune aree già problematico”. La necessità di informare e comunicare è ineliminabile, sarebbe quindi cosa saggia per la salute di tutti cercare di porre rimedio allo scempio degli ultimi anni e ripartire da qualcosa che porti maggiori benefici e minori rischi di quelli attuali.